20 marzo 2013

E' la CASA, non lo sguardo, lo specchio dell'anima



Io sono una di quelle che ovunque vada “si porta dietro la casa”.
Sono la classica tipa che si trascina dietro valigioni mastodontici anche per un viaggio di un weekend, bagagli super capienti per una gita fuori porta, sporte e sportine per andare a lavoro e la frase che si sente ripetere più spesso è : “ma che c’hai messo dentro, il piombo???”
Persino quando ozio in casa mi riempio le tasche  per non dovermi alzare dal divano (fazzoletto, telefono, burro cacao, pinza per i capelli … cioccolatino). Sono un caso patologico. Faranno un nuovo format su Real Time, per quelle come me: “Sepolti in borsa”… storia dei miei auricolari.

Ma una volta che mi avrete psicanalizzata e ricondotto il tutto al solito problema di insicurezza? Sai che scoperta. Sono un’insicura, embè? Rivendico il mio diritto alle paranoie e alle mie borse oversize. Non penserete sia un caso che Mary Poppins sia il mio idolo. 

Lascio a voi i mini bauletti, le tracolle, le postine, le pochette, le piccole handbag … a me servono solo i modelli shopper GIGANTI! O le (fake) Birkin, o le hobo bags in cui trovi dalla mezzo litro d’acqua al libro del momento, dalla limetta per unghie al minikit del pronto soccorso, dalle bustine di zucchero alle forbicine, dall’immancabile gamma di rossetti&matite alle spille da balia, dai fazzolettini di carta alla mini torcia elettrica. E ancora a tutta quella serie di oggetti indispensabili da tenere a portata di mano per ogni evenienza:  ombrello-agendina-guanti-specchio-caramelle-crema per le mani…Post-it-orecchini-cd-mollette dimenticate-borsa di stoffa per spesa improvvisa-pezzuola per pulire gli occhiali-campioncini di profumo-pile di scorta-kit per manicure e pinzetta per sopracciglia… e Diosolosa che altro.

Sono la fondatrice del club del NON SI SA MAI. Devo essere pronta a tutto, tipo che nel Monopoli la carta degli imprevisti la affronto con un sorriso beffardo e uno sguardo di sfida. E quasi mai l’oggetto che ho con me verrà utilizzato per il suo scopo intrinseco.  Non potete capire la gioia di riparare una cerniera utilizzando la molla di un porta badge, in hotel a Barcellona… poi vi faccio un tutorial. 

Insomma, affermo con orgoglio la mia insicurezza e il mio bisogno di viaggiare con la mia casa.
Invidio le tartarughe, le lumache, ma mi sento più simile al paguro. Quell'animaletto che ovunque si trovi a stare per un po', si adatta. Anzi, adatta l’ambiente esterno a sé! Prende una lattina di Fanta abbandonata e ci fa la sua s w e e t  h o m e.   La arreda.

Un mito. Ecco perché questa è sempre stata la mia passione: trasformare il posto in cui vivi, anche per breve tempo, in qualcosa di ospitale, che ti somigli.
La casa è il tuo mondo. E puoi fartelo come ti pare. Se il corpo è il tempio dell’anima, la casa è il tempio di entrambi, anima e corpo. Deve ridondare di te. Anzi, che tu voglia o meno, la scelta di quel colore di Manstad piuttosto che un altro, mi dice chi sei, mascherina, molto più del tuo taglio di capelli. Una casa ipermoderna, quasi asettica, con le superfici lisce e lucide, gli spigoli affilati, le luci bianche e i quadri a colori forti sulle pareti, mi parla di una persona forte, determinata, razionale e con le idee chiare. Una, invece, piena di colori vivaci, di oggetti ricercati e stravaganti, di forme morbide, di cuscini e di coperte calde…eh ok, quella sono io.

- Avete mai notato che non capite veramente una persona finchè non vedete il posto in cui vive? Conoscete un ragazzo da un paio di mesi, magari l’avete inquadrato come un tipo super cool e "friendly"… e poi scoprite che ha comprato quel mobile porta-tv che sembra quello di mia zia, magari con tanto di centrino e soprammobile in ceramica. Perde 1000 punti. Oppure la vostra collega: avete presente quella carina ma timidina, sfigatina, con la peluria sul labbro superiore e la mutanda slandra che si intravede dai jeans? Vi invita per un caffè … e ha le sedie Kartell che avete sempre sognato, il copriletto zebrato e una valigia vintage per cui potreste uccidere e che starebbe da dio nella vostra camera da letto! E insomma, da quel momento in poi non potrete fare a meno di guardarla con occhi diversi.  (Certo, la peluria c’è. Eh, oh.) -

Da piccola progettavo di creare una specie di catalogo, in un quadernone ad anelli con le cartelline trasparenti: per ogni amica avrei strappato dalle riviste di arredamento delle immagini di ambienti domestici che avrei scelto per loro. Per una avrei trovato adatti i legni chiari, caldi, i colori che richiamavano la terra e i suoi  capelli; per l'altra immaginavo una casa più moderna, mobili laccati, divani ad angolo e oggetti dallo stile contemporaneo; per l'altra ancora una casetta rustica e romantica; e così via. Una sorta di "identikit architettonico". Non l'ho mai fatto, ma resta un'idea fighissima: descrivere una persona non a parole ma attraverso un comodino e una libreria...
La casa è il monumento che ci facciamo da soli. E' la rappresentazione di noi stessi attraverso mobili, oggetti e tessuti. Come un'impronta digitale, quando abiti un ambiente, anche se per una settimana, lasci il tuo segno, lo interpreti. Anche se non te ne rendi conto, da quel momento non può essere che tuo. Per rendere “tue” quattro pareti bianche, un pavimento ed un soffitto bastano pochi tocchi, pochi oggetti che parlino di te, qualcosa che ti faccia sentire più comodo, più a tuo agio, anche in un tugurio… anche in un Bed & Breakfast allestito in una barchetta di legno buia che puzza di sigaro, ma che con qualche candela profumata, un foulard e una torcia elettrica appesa al soffitto diventa una romantica alcova.
Ma questa è un’altra storia.


"Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l'inquilino" - Victor Hugo



N.d.r. Cari lettori, vogliate scusarmi se non ho trovato nessun documento video dell'incommensurabile gioco del "Indovina cos'ho nello zainetto"di Ambra di Non è la rai
Lo so, sarebbe stato perfetto. 




Sempre vostra 

La senhorita Flor






18 marzo 2013

casa = famiglia

Le gherls si riuniscono virtualmente: 'Allora ragazze, che argomento affrontiamo?Che ne dite di "casa"?'-propone una delle undici, segue entusiastica adesione al tema e fioritura di post!
Entusiastica!
Sì sì...proprio...
E mentre leggo i post delle mie colleghe che parlano di casa come luogo del cuore, identificazione del sè, regno indiscusso del proprio felino, mi accorgo con orrore che per me casa in questo periodo vuol dire noia, fatica, ripetitività, addirittura prigione...

Ed ecco che in meno di un minuto rientro nel cliché della casalinga annoiata e disperata.
Mi spremo le meningi, in fondo casa è un argomento vasto....cosa potrei scrivere....ed è così che riaffiora un ricordo dolcissimo...

La mia infanzia, dalla nascita a gli otto anni, l'abbiamo passata in un'enorme CASA che condividevamo con i miei nonni paterni. Due tipi da film: lei piccolina, 145 cm di pura energia e parole, le sparava a raffica lasciando morti e feriti ovunque; lui 185 cm di silenzi, odore di mastice (era ciabattino) e frutta che mangiava a qualsiasi ora.

Quanti meravigliosi ricordi legati a questa casa che quasi sembrava un castello, con un'ala dedicata alla mia famiglia e l'altra dedicata ai miei nonni!


Il più dolce dei ricordi, rimarrà per sempre la nascita di mio fratello, che mia madre decise di sfornare proprio nella sua ala del castello.

Ricordo tutto di quella giornata.

Mamma aveva un pancione enorme,  iniziò ad avere presto i dolori del travaglio, che scambiammo per un'indigestione, ma mia nonna, che era una tipa sgamata visto che di figli ne aveva messi al mondo nove, chiamò subito l'ostetrica.

L'ostetrica era una tipa bassina con due braccia da muratore e una messa in piega perfetta di un biondo non esistente in natura, appena arrivò, fui subito spedita di sopra a casa di mia zia.

La giornata, nonostante l'attesa, per me passò piacevolmente, in compagnia della mia cugina grande, adoravo stare con lei, mi pettinava e mi faceva sempre mille treccine con tantissimi elastici colorati.


Quando tutto fu pronto, scesi a casa nostra.





Mio padre, il solito viso scavato e gli occhi lucidi dall'emozione, mia mamma era distesa a letto e in quel momento mi sembrò più splendida che mai, con la sua camicia da notte rosa pallido, e infine lì in quella che era stata la mia culla lo vidi...era il bambino più bello che abbia mai visto, ben cinque chili (povera mamma!) di rughe, tutto rosso e pieno di capelli neri, che strillava e agitava le manine.

Me ne innamorai immediatamente e da quel giorno non ho mai smesso di esserne innamorata!

E' dal riaffiorare di questo ricordo che ho capito, sebbene non ce ne fosse bisogno, dato che l'ho sempre saputo e che lo vado sbandierando ai quattro venti appena ne ho l'occasione, che la mia casa sono loro, sono le mie fondamenta, le mie colonne, la mia casa è la mia famiglia.



13 marzo 2013

La zingara



Ho difficoltà a chiamare un luogo casa.
In questi anni ne ho cambiate parecchie.
C’è quella dove sono cresciuta e dove ancora vivono i miei. Mio padre vorrebbe che io chiamassi casa solo quella. Per lui tornare a casa significa tornare li. Soffre non tanto in silenzio quando mi sente dire “sono a casa”…  e  sono a centinaia di km di distanza e non sotto il suo stesso tetto.
Forse è per questo che mi definisce affettuosamente zingara. Perché non ho una dimora, un luogo in cui sentirmi a casa.
E io sono irrequieta per questo. Lo so.
Ma casa non è un appartamento.
Non sono quattro mura e un tetto.
Casa è qualsiasi luogo dove provi quella rara sensazione di perfezione. Quel posto dove vuoi stare in quell'esatto  momento. Io qui ora. E’ il momento felice al presente.
Casa è Roma ad agosto. Mari Ermi un martedi mattina di luglio alle 8. Il suo abbraccio, nudi , a cucchiaio, dopo aver fatto l’amore. La poltrona sul terrazzo la domenica mattina. Casa è il gradino dove ti fermi a bere una birra d’estate, un tappeto e un divano colmi di amici, un prato una tovaglia e un libro, un gelato a passeggio una sera di primavera…
Se esistessero quattro mura capaci di accogliere tutto questo... quella sarebbe la mia CASA. Non esiste? Beh…sono un architetto, primo o poi la progetto!











8 marzo 2013

Se fossi uomo. E non è invidia del pene. Se mai, dell'elicottero...

Almeno una volta, una. Per curiosità, per sbaglio, per gioco, per spirito cameratesco, in gioventù, in disperazione, abbiamo partecipato alla capitalista e truce Festa della Donna.

Ora, per eliminare quel singolo ricordo, proprio oggi proviamo a metterci nei panni, e non solo metaforicamente parlando, di un uomo.
E vedere di nascosto l'effetto che fa.

Venite anche voi?




Se la Senhorita Flor fosse un uomo...


Se fossi un uomo sarei quel genere di canaglia che ti porta in riva al mare, sotto le stelle, e ti racconta le favole al chiaro di luna, solo per averti.

Se fossi un uomo mi amerei solo 25 giorni al mese. Che non è poco.

Se fossi un uomo mi farei.

Se fossi un uomo non capirei perché le donne vanno sempre in bagno in gruppo, però direi con orgoglio che chi non piscia in compagnia o è un ladro o è una spia.

Se fossi un uomo mi toccherebbe tenere aperte le porte dei ristoranti, cedere il passo, portare le valigie pesanti e cambiare le gomme a terra. E invece no.

Se fossi un uomo saprei come far godere una donna a letto.

Se fossi un uomo non ci arriverei.

Se fossi un uomo vorrei essere te, per un giorno. Per vedermi coi tuoi occhi, e capire cosa trovi dentro ai miei.




Se StancaMe fosse un uomo...


Se fossi un uomo sarei meno complicata, avere un pene è una cosa così semplice! O sta su o sta giù o fa pipì, mica è come avere un anfratto nascosto e misterioso come la vagina!

Se fossi uomo farei figli a più non posso, con centinaia di donne differenti, tanto non dovrei partorirli, ma almeno la mia discendenza conquisterebbe il mondo!






Se La Saki fosse un uomo...


Se fossi uomo avrei una scusa per non fare nulla in casa.

Non mi preoccuperei di essere inelegante utilizzando termini volgari.

E non mi sentirei a disagio per la comparsa di un nuovo brufolo.

Perché il sesso è solo un pensiero superficiale.




Se Liss&Curl fosse un uomo...

Se fossi un uomo mi farei sferrare un calcio ai gioielli, per verificare se il dolore è almeno pari a quello del parto.

Se fossi uomo l'unico nodo alla gola che avrei sarebbe quello della cravatta.

Se fossi uomo non mi sentirei nuda senza anelli, bracciali, collane ed orecchini. A meno che non sia un rapper.

Se fossi uomo uscirei di casa ogni mattina spettinata. A meno che non sia una drag queen.

Se fossi uomo riderei alle battute di Panariello.

Se fossi uomo prenderei in braccio la mia donna per sollevarla dalle preoccupazioni terrene.




Se la Principessa col Righello fosse un uomo...

Se fossi un uomo non farei la ceretta.

Se fossi un uomo sarei mio padre.

Se fossi un uomo pianterei un albero di mimosa per la mia donna.

Se fossi un uomo....non voglio essere un uomo!!






Se La K fosse uomo...

Se fossi un uomo farei esperienza sul funzionamento del cervello maschile.

Se fossi un uomo sarei un gentleman, ma solo a volte. Dolcezza e mazzeeete.

Se fossi un uomo metterei i piedi sul tavolino in soggiorno (ops! quello lo faccio già). Ma sparecchierei sempre.

Se fossi un uomo vorrei provare un orgasmo, per verificare che vada meglio a noi.

E se fossi un uomo farei l'elicottero, sperando di potermelo permettere (si sa, è una questione di elica) ;)





Se The Iron Lady fosse un uomo...

Se fossi un uomo non mi dovrei sentire in colpa se non sento "l'istinto familiare". Se non mi è ancora venuta voglia di fare figli a 33 anni più che suonati.

Se fossi un uomo, per decidere se costruirmi una famiglia o meno, avrei più tempo (vedi Julio Iglesias o Marlon Brando).

Se fossi un uomo non mi sentirei un alieno se volessi andare a vedere la partita di calcio della mia squadra preferita, da sola al bar.

Se fossi un uomo sicuramente avrei fatto più carriera, e guadagnato di più. Ma sarei stata meno brava. Si sa, solo le donne sanno essere multitasking.

Se fossi un uomo, arriverei a casa la sera e potrei buttarmi sul divano o davanti al pc. Senza pensare alla cucina, alla lavatrice, ai mestieri di casa.

Se fossi un uomo potrei raccontare il mio passato senza aver paura di essere considerata una poco di buono, ma solo un uomo che si è tanto divertito nell'attesa di incontrare l'Amore della sua Vita.

Se fossi uomo, e questo è sicuro, farei di tutto pur di stare insieme ad una donna come me.





Se Senzazucchero fosse un uomo...


Se fossi uomo ironizzerei liberamente su alcune frivole abitudini femmini alle quali invece, per spirito cameratesco, spesso faccio buon visto davanti, e occhi storti dietro.

Se fossi uomo piscerei ad ogni cantone di una piazza affollata, con un cartello sulla schiena recante scritta "Questo è per tutte le volte che l'ho tenuta fino a casa".

Se fossi uomo mi laverei sempre le mani dopo aver usato il bagno.

Se fossi uomo non conoscerei la primordiale sensazione derivante dal mal di piedi da tacco.

Se fossi uomo rispetterei le donne.







Se La Cozza fosse un uomo...




Se La Menguez fosse un uomo...

Se fossi uomo sarei io...

beh, senza tacchi e con lo sguardo lungimirante per riuscire a leggere con profondità lo svolgersi dei nostri tempi moderni.

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Se La Vee fosse uomo...

...penserebbe una cosa sola:



"occcazzo! Va bene essere sfigate, ma addirittura questo..."

;)

7 marzo 2013

Sicure di non voler dare confidenza agli sconosciuti?


Prova ad immaginare di dare le tue chiavi di casa ad uno sconosciuto. Al massimo ad un conoscente.
Pensa a quale sarebbe il tuo stato d'animo. Non tanto quando in casa ci sei tu, situazione che ti permette comunque di reagire in qualche modo...con un saluto caloroso quando entra, ma anche attendendolo con una mazza da baseball in mano.
Prova a pensare a quando non sei in casa, e sapere che può entrare e fare ciò che vuole.

Chiudi gli occhi e immaginati la scena.

Casa vuota, gira la chiave nella toppa. Entra. 
Hai lasciato tutto in giro. Le tue ciabatte cicciotte rosa. Il tuo pigiamone di flanella. Il plaid arruffato. La cover del DVD romanticone strappalacrime che hai riguardato per l'ennesima volta ieri sera, nella tranquillità della tua solitudine. Ed hai pianto, come sempre, quando lui le dice che ama solo lei. 
Sul tavolino davanti al divano alcune bottiglie di birra bevute per sopportare lo stato di malinconia estrema che ti è preso dopo la visione del dvd sopracitato.
(Se fossimo in quel film americano, ci sarebbe una bottiglia di Jack Daniels...ma diciamoci la verità...ci sono whisky migliori, semmai...in caso proprio si volesse andare sul pesante.)

In cucina i resti di una cena frugale, fatta di cose veloci, poco invitanti. Una scatoletta di tonno, lo yogurt coi cereali (chi lo dice che bisogna mangiarlo solo a colazione, dico io?!) , il coltello sporco di Nutella (ma la Nutella l'hai rimessa subito via...ti senti troppo in colpa a lasciarla in giro, vuoi nascondere il corpo del reato, lo so). 
Un pacchetto di orsetti gommosi a cui mancano solo quelli rossi, i tuoi preferiti.

In camera da letto ci deve essere passato già un ladro, prima dello sconosciuto che è entrato poco fa. L'armadio è vuoto, il settimino ha tutti i cassetti aperti e il letto non c'è. Aspetta. Come non c'è il letto?...Ah, no, scusa, è nascosto sotto questa montagna informe di vestiti. Già...dimenticavo che ti sei dovuta vestire per andare a lavoro. E non hai mai niente nell'armadio (infatti è appunto tutto sopra il tuo letto). Sul comodino un bel libro iniziato da poco...più altri 3 libri tutti quasi finiti, ma con il segnalibro sull'ultimo capitolo. Perché non riesci a leggere il finale. Gli addii ti straziano, anche quelli che devi dare ai personaggi di un libro che ti è piaciuto tanto.

E poi ecco la cosa peggiore che il semisconosciuto possa trovare, nascosto tra t-shirt e abitini di maglia. Il tuo portatile rimasto acceso sul tuo blog personale. Blog che hai creato con uno pseudonimo per poter imprimere nella rete i tuoi pensieri più intimi senza che nessuno ti riconosca. 
Solo lì hai avuto il coraggio di confessare quanto disarmata, indifesa, incredula, insicura, indecisa, intontita, ti abbia lasciato questo sentimento a cui anche dare il nome di Amore ti sembra riduttivo. Questo sentimento a cui ti sei arresa, dopo una sfiancante lotta contro te stessa e la tua tenace convinzione che "tu vuoi solo divertirti". 

Perché proprio come l'immagine dello sconosciuto con la tua chiave di casa, una persona è arrivata nella tua vita, senza preavviso, e senza un motivo razionale valido, gli hai spalancato le porte, dato libero accesso. Viene quasi da pensare che questa persona in realtà, avesse già le tue chiavi...tanto gli è stato facile entrare. Ma ormai non puoi più niente. Terrorizzata da ciò che vedrà, meravigliata dal fatto che non ne sia disgustato...anzi.







4 marzo 2013

La casa di ombrelli

Lei si chiamava Francesca. 
Abitava nel palazzo accanto al mio e insieme costruivamo case con gli ombrelli. 
Passavamo le estati al fresco del parco giochi condominiale e non so dirvi neanche come un giorno, forse presa dalla noia, lei mi disse "Prendi tutti gli ombrelli che hai a casa e portali giù. Ho un'idea". 
A quanti di voi il suono della frase "Ho un'idea", concomitante ad uno sfaccendato pomeriggio estivo, dava una leggera scarica di adrenalina? 
A me si. 


Mia madre non fece troppe domande. 
Così scesi col suo ombrello fiorato Laura Biagiotti, quello pieghevole nero e verde a quadri "finto Burberry" di papà, quelli di mia sorella di plastica rosa con Sailor Moon e il cristallo di luna stampato sopra, e l'altro giallo con Pikachu, quello mio rosso tinta unita, altri di riserva e un paio rotti. 
Solo adesso mi chiedo cos'avrá mai potuto pensare la signora Martini del piano di sotto quando, incontrandola nell'androne, mi tenne aperto il cancello per farmi passare.
Aprimmo gli ombrelli, in tutto più di una dozzina, e li incastrammo: quelli più grandi sopra, quelli più piccoli ai lati, formando una specie di igloo. Ad opera conclusa entrai a gattoni attraverso lo spazio che avevamo lasciato. Lei entrò per ultima e si chiuse "la porta" alle spalle con un ombrello a pois rotto per metà.

A parte i vari manici che se non prestavi attenzione potevano accecarti, il risultato era aldilá delle aspettative. 
Dentro all'igloo non potevamo stare in piedi, ma la mia lungimirante compagna aveva portato con sè due materassini da yoga per poterci sedere e sdraiare. Da quella posizione, col sole che batteva sulle superfici traslucide, tutto era luminosissimo e colorato. Avevo addosso l'ombra delle stelline di un ombrello blu sopra la mia testa. Sailor Moon era accanto ad un dragone cinese dorato che sputava fuoco sulla finta trama Burberry, che a sua volta avvolgeva Pikachu fino al collo. L'atmosfera era curiosa e rilassante.

Non so dire di preciso cosa facevamo là sotto. Chiacchierare suppongo. Il ricordo più lucido è inerente alle fasi costruttive. Il resto... Quasi buio.



Smontammo e rimontammo case di ombrelli per diversi giorni. 
Dentro ci facevamo merenda, partite a Risiko o Monopoli e qualche confessione in stile "Chi ti piace della tua classe?", che al riparo dell'igloo sembrava meno inibita che all'aria aperta. 



Ricordo che quando il sole cominciava a picchiare forte, dopo difficili momenti di resistenza a tamponarsi le tempie, scappavamo fuori a gambe levate per evitare una spiacevole seduta di sauna finlandese.

A casa, in privato, proposi la versione "ombrelli + foulard", poi rivisitata direttamente "foulard" perché per la mia cameretta tutti quelli ombrelli era chiedere troppo. Qualche volta chiesi anche alla mia sorellina di partecipare, ma presto mi resi conto che la mia esile costruzione non avrebbe retto una scossa tellurica di quell'entità.

Insomma, mi piaceva improvvisare case. Immaginare dove poter sistemare la zona letto o l'angolo cottura. Il bagno era un optional. Tanto a che serve?



Ricordo anche che un giorno vidi mamma entrare in camera, mettersi seduta sul letto e chiedermi preoccupata "Perchè costruisci sempre case? La tua vera casa non ti piace?".
Ahia. Momento psicanalisi.
Il fatto era che a me piaceva moltissimo il mio vero appartamento, ma cercavo qualcosa più a mia dimensione, immagine e somiglianza. Qualcosa che potevo scegliere e decidere io. Un posto in cui puoi sederti sul letto senza aver paura di disfarlo, dove puoi avere un tetto stellato sulla testa che difficilmente i miei genitori mi avrebbero permesso di realizzare nella mia cameretta, dove il bagno non era indispensabile e dove i muri erano di seta e tela. 
Lì sotto potevo. 

Che poi, detto tra noi, il gioco finiva esattamente nel momento in cui io, direttore dei lavori, dichiaravo l'opera definitivamente conclusa. A quel punto, che fossi da sola, o con la mia amica, mi ci infilavo dentro, mi guardavo attorno e dopo quei 10-15 secondi di ammirata contemplazione, nella mia mente risuonava un solo, enorme ed immenso "E mo'?".
Tutto lì.


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