10 luglio 2013

Ma voi come fate?

Ma voi come fate?

Ore 8,20. Conto i passi dalle scale della stazione fino al punto in cui, prevedibilmente, si fermerà sulla banchina la seconda carrozza del treno che mi porterà alla metro. Quella che, secondo un'accurata stima derivante da diversi viaggi in piedi, potrebbe garantirmi un posto a sedere.

Ore 8,27. Posto soffiato da una donna con 4 sacchetti della spesa. Il mio zaino col pc non può competere. 

Mi metto in un angolo, tra l'ascella di un uomo ben vestito e il "City" di una donna sui 35 che legge le notizie assorta. Porta jeans giallo pastello come la borsa. E una camicetta viola, dello stesso bagno di colore delle ballerine e del suo eye-liner. Una riga perfetta, un gioco di colori perfetto, per quell'ora. Ma come fate? 

A quell'ora potrei azzeccare i colori del vestiario solo cospargendomi di colla e buttandomi nell'armadio. Lo so. Ve li preparate la sera prima, a mente fresca.

Ore 8,47. Banchina direzione Anagnina. Una folata di vento preannuncia l'arrivo del treno. Salgo: zero posti a sedere, mezzo posto in piedi. Cerco a tastoni le auricolari e le collego al telefono.



La ragazza accanto a me subisce tutta la mia invidia perché è riuscita a sedersi al posto di una bambina. 
Legge un libro e si porta due dita dietro l'orecchio destro per sistemare il ciuffo perfettamente piastrato. Alza distratta lo sguardo ad osservare i finestrini, ma trova qualcosa di più interessante. Di fronte a lei, rintracciato attraverso uno spiraglio tra la folla, siede un ragazzo visibilmente più grande di lei. Lui la guarda e le sorride timidamente. Lei ricambia sbattendo le ciglia perfettamente truccate e riporta gli occhi sul libro. Uno, due, tre secondi e li rialza sul ragazzo, che la sta ancora osservando con gli occhi socchiusi ed intensi.Un timido flirt. Un timido gioco di sguardi.


Ma come fate? 

A quell'ora mi sento seducente come un bradipo. Con il segno del cuscino ancora sulla guancia, il timore di essere ancora in ciabatte o di aver dimenticato qualche pezzo fondamentale dell'abbigliamento a darmi l'unico scossone. 

Insegnate a giocare anche a me.

4 luglio 2013

Strega comanda colore...



Vuole colore...


VERDE:
Come la scatola in cui la nonna conservava i suoi "gioielli" più vistosi per far giocare me e le mie sorelle.
Contro le regole dell'eleganza, sceglievo le pietre più grandi, colorate e lucide e mi apparecchiavo orecchie, collo, polsi e dita.
"Giochiamo a Le signore?"






ROSSO:
Come il sacco che gonfiava la pesante lucidatrice per pavimenti.
Era un marmo chiaro, un corridoio lungo, ed io la impugnavo con la convinzione di renderlo lucido a specchio.
Ma era la lucidatrice a portare me.
"Dai mamma, gioco a La casalinga!"







BIANCO:
Come il gessetto che disegnava una successione di quadrati e numeri per terra, nel cortile di casa.
Poche ore dopo i compiti, nel pomeriggio, sotto gli occhi della mamma di turno al balcone.
"Scendi Valeria, che giochiamo a Campana!"







ROSA:
Come l'ascensore che si muoveva su e giù tra i tre piani della casa di Barbie.
Era un continuo viavai di amici, nel soggiorno del primo piano; a piano terra si cucinavano polli di gomma e sfornavano torte di Das, sempre troppo grandi.
Al terzo piano Barbie e Ken dormivano beatamente, perché le mie sorelle erano ancora troppo piccole.
"E' l'ultima volta che gioco con le Barbie!"






BLU:
Come il campi di pallavolo d'estate, il mare intero.
Tutto un pullulare di gruppetti spontanei che, in cerchio, arrivavano a passarsi la palla per almeno cinque volte, la quinta a quello che avrebbe schiacciato alla ragazza su cui, letteralmente, fare colpo.
"Vado in acqua a giocare a Cinque si schiaccia!"









NERO:
Come la copertina del Moleskine da cui passano queste parole scritte, prima di raggiungere la tastiera.
E' un pomeriggio di Giugno, e ricostruisco il filo dei miei giochi, nel silenzio della mia casa che ho giocato ad arredare, giocando a fare l'architetto, per giocare a La moglie.





E allora mi ricordo: il mio gioco preferito, quello a cui non so dare un colore, è SCRIVERE.



2 luglio 2013

Una stufa è per la Veeta.

Gioco di mano, gioco di villano.

Un centimetro di cielo
Suor Angela lo diceva talmente tanto spesso a quel bruto che stava sempre appresso al mio grembiulino e mi rubava tutti i giochi sul più bello delle mie fantasticherie e irrompeva nei miei disegni con quegli scarabocchi di nuvole nere sotto la linea spessa un centimetro di cielo turchese
e mi spingeva sempre giù dalla collinetta appena la suora si girava che ho sempre pensato si chiamasse Villano. 
A sostegno della mia tesi, devo dire che sul grembiule, come riconoscimento con l'armadietto, non avevamo il nome ma un simbolino. 
 
A parte che se anche ci avessero ricamato sopra il nome, io, Stefano, a quei tempi, non sarei mai stata capace di leggerlo, ma il suo simbolo era una mano aperta tipo "ciao".

Chiunque ne sarebbe stato convinto, dai.

Insomma, Villano è stato il mio "tormento di giochi" per tre lunghissimi anni, che per la Me bambina sono sembrati tutta la vita.
Poi succede che alla festa dell'ultimo anno il grembiulino non ce l'avevamo su più. Io ero contenta perché davo la mano a mamma da una parte e a papà dall'altra e in giro non ce lo vedevo, Villano. Mentre facevo vedere la collinetta a papà, vedo mamma tornare con un piattino di plastica con su una fetta di torta grossa come la mia faccia e mi siedo feliciona sulle ginocchia di papà col mio piattino in grembo.
Non faccio in tempo a infilzare la torta con la mia forchettina, che vedo solo una manona tozza che si schiaffa al centro della fetta, facendola cadere. Era quel minchione di Villano. Solo in quell'occasione ho scoperto che si chiamava Stefano. La sua mamma l'ha scandito con molti decibel per fare in modo che fosse chiaro per tutti, lì in giardino.

Io poi di torta non ne ho più voluta. Ho cominciato a piangere, e dire che non ci volevo più stare in quel posto. Ero STANCA di quel Villano. Un po' come trecento giorni l'anno, per tre anni.
Il mio simbolino era una STUFA. Ironia della sorte? Un caso?
No, è che ci hanno segnato la vita!

Cioè, se al posto della stufa avessi avuto una spada, magari...


Stefano l'ho incontrato per caso proprio di recente, all'Unieuro. Vende stufe.
Ho riso mezz'ora. Poi mi è venuto il fortissimo istinto di andare a scombinargli tutte le targhette che stava sistemando sopra ad ogni articolo. Subito dopo ho pensato a Suor Angela...quindi ho abbandonato l'idea e mi sono diretta verso i giochi della Vee. Ah no, della WII. E scusatemi il lapsus. ;)