22 ottobre 2013

"Gioghi" - (Qui non si scherza, si fa per gioco)


"Nei giochi una cosa sola è certa: o si vince, o si perde."


Dai, dipende. Per quanto mi riguarda, io ho sempre preferito fare il tifo. 
Mi conoscete... se posso starmene sugli spalti a mangiare patatine e guardare gli altri che sudano, è certamente lì che mi troverete. Una rivista, due chiacchiere su whatsapp e il tempo passa.

Sai come vanno queste cose. Finisci l'università, fai due o tre (mila) lavoretti precari, stai con quel ragazzo ormai da un po'... vai a qualche concerto, un cinema, molti aperitivi. Insomma cazzeggi, tergiversi, trovi scuse.
Di solito, però, nel mezzo del cammin, arrivi ad un punto in cui le cose si fanno serie e, strano a dirsi, è allora che inizi a giocare. 

Il riscaldamento è finito Flor, tocca a te.  
Devi  metterti in gioco. E allora ti alzi, ti stiracchi (perchè diciamocelo, quella roba lì vorrai mica chiamarla 'stretching'?) e quando ti ritrovi in campo, con le scarpette allacciate e la tuta nuova di pacca, ti accorgi che non c’è niente di più serio che mettersi a giocare. 

Che forse non l’hai mai fatto veramente in vita tua, ma ora non puoi più tirarti indietro, non puoi neanche portare la giustifica perché non gliene frega niente a nessuno che il cane ti abbia mangiato i compiti o che c'avevi judo.  

Pensavi che prendere la vita per gioco fosse da immaturi, da irresponsabili. E invece per paura di giocare hai finito per prenderti troppo sul serio ed hai fatto l'errore più grande della tua vita: non seguire l'istinto. Non divertirti, non vivere. 

Anni passati seduta in panchina a chiederti se quella fosse la cosa giusta da fare, se te la sentivi, se fosse quello che avrebbero voluto i tuoi... Ti è venuto il culo piatto, ma ora basta, non permetterai che lo diventi anche la tua vita (a meno che non si parli del punto-vita).


Sono tutti lì, sugli spalti, a guardarti mangiando patatine. Qualcuno farà il tifo, altri ti prenderanno in giro alla prima caduta, ma ormai ti tocca provarci.
Anzi, quando becchi quella rosicona dell'ex compagna di corso guardarti con sufficienza scatta l'orgoglio: "Mbè? sapete che c'è? adesso vi faccio vedere io." 
E inizi a correre. Inizi a giocare, ma per vincere.

"Ehi, pivella, scansati, guarda come si fa."

Forse non avevi mai giocato prima solo perché nessuno ti aveva mai sfidato. O forse perché la posta in gioco, dopotutto, non valeva un gran che. 


Alla fine, quando una cosa la vuoi davvero, la paura c'è lo stesso. 



Quel lavoro che ti hanno offerto, quel progetto di vita, quella sfida impossibile quanto una vittoria al 90esimo, fuori casa. Mille voci nella testa ti dicono che non sei pronta, che non ce la farai mai, che gli altri saranno tutti più bravi di te, che non hai le scarpe adatte, e che dove-vuoi-andare-visto-che-sei-troppo-fuori-forma. Le solite voci che ti hanno impedito di alzarti dalla panchina un sacco di volte. Solo che stavolta decidi di ignorarle


L'alternativa qual è, arrendersi? Naaaaa, quello proprio mai, non ce n'è.

Abbiamo detto che mi conoscete, no? Tutto si può dire di me tranne che io sia una che si arrende. "La vita è dura, ma io di più", il mio motto.
D'altronde noi donne lo sappiamo bene: è quando il (ehm) gioco si fa duro… che inizia il divertimento.




Con amore, 
La Flor



Lo sai cos'è un perdente? Il vero perdente è uno che ha così paura di non vincere che nemmeno ci prova.
(dal film "Little Miss Sunshine"di Jonathan Dayton)
/film/l/little-miss-sunshine-(2006)/citazione-87415>



18 ottobre 2013

Giochi vs giocattoli

Ho sempre amato i giochi che si fanno senza necessità di giocattoli.
Non che non avessi scatole piene di bambole, accessori, macchinine ed ogni bendiddio.
Anzi, i miei erano generosi al limite della follia nel viziarmi con ogni nuova uscita.
Il fatto è che a distanza di anni, quello che resta, è il piacere semplice delle ore passate ad inventare partendo dagli oggetti comuni.
 
Allora un pomeriggio le ante della credenza diventavano quinte della mia grande, immaginaria cucina. E nell'impegnarmi a sbattere uova inesistenti nella terrina di mia madre, potevo sentire perfino l'odore della torta che non avrei mai veramente infornato.
Certo, mia madre non era troppo contenta quando abbandonavo il campo di battaglia lasciando tutte le pentole sparse sul pavimento. Ma ha sempre amato ed incoraggiato questa mia vena inventiva.

I miei erano terrorizzati che la televisione ed il mondo commerciale degli anni ottanta potessero appannare lo sviluppo della mia fantasia. Guardando (poco) la televisione oggi, non posso dargli torto.
Ma nonostante mi sia abbeverata più che abbondantemente al ruscello della mediaset degli anni d'oro, e nonostante questo abbia portato dei danni irreversibili alla mia persona, devo dire che lo sviluppo creativo ha tenuto botta egregiamente.

Crescendo ho avuto la conferma che i giochi migliori sono quelli che nascono per sbaglio.
Le storie inventate cercando di indovinare le destinazioni dei passeggeri di un autobus che ti porta dove devi andare.
La musica cercata nei rumori che inghiottiscono la quotidianità.
Le parole e gli scherzi partoriti in un lapsus, digeriti sghignazzando.
Le parole.
Le parole.
Quel palleggio che crea corrispondenze, se reciproco.
L'affinità nel leggerle e nello scriverle.
I toni e le sfumature.
L'importanza della grafia, della rappresentazione di sé attraverso le parole.
Dove ogni asola è una serratura per spiare e farsi spiare.