Quelle volte con papà; via dall’Italia, ho scoperto di essere
fatta per qualcosa più che un Paese a forma di stivale.
Quella volta che all’università ho preferito un colloquio di
lavoro; via dagli studi, ho scoperto di non essere fatta per i libri.
Quella volta in cui spensi 21 candeline e, via da quel Lui, ho
scoperto che era ancora troppo presto per un noi.
E adesso ci risiamo. E’ ora. Fra poco si ricomincia, si va
via da anche da qui, da questa casa.
Proprio quando meno me l’aspettavo. Esattamente nel momento
in cui stabilivo, con una bandierina, in quella cartina immaginaria che è la
mia vita, di dichiarare fallimento. Sì perché a ventinove anni e due mesi,
senza un uomo e senza aver costruito qualcosa di mio a parte l’essermi guadagnata
un lavoro che non mi piace e che di sicuro non è quello della mia vita, mi
stavo rassegnando a quella condizione di bamboccia sfigata che non fa proprio
onore a quelle che erano le mie aspettative. Qualche mese dopo questa parentesi
di rassegnazione, eccomi al centro della mia stanza con in mano un fascicolo: il biglietto per il mio prossimo viaggio.
Un plico di una decina di fogli costati come il fuoco che dimostra a tutti che finalmente
ce l’ho fatta: ho una casa mia! Sta per cominciare un viaggio, serio, importante.
E sono eccitata, emozionata, impaziente, felice, spaventata, -sul lastrico, anche- e ancora
scossa al solo pensiero della quantità di cambiamenti che mi aspettano. Un nuovo inizio, ma senza più fuggire da niente e nessuno.
Si
ricomincia. Da me. Dai miei occhiali nuovi: qui comincia la mia Vee en rose.
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