16 ottobre 2012

La pioggia nel Pigneto.


Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

Dicono che il periodo sia giunto. Ne parlano giornali, televisioni, persone. Le piogge che arrivano e l’acqua che spazzerà via l’ultimo sentore d’estate. Maglie e pantaloncini corti, costumi e infradito. Ma questi non sono i miei temporali. 

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

I temporali estivi sono quelli che rispetto maggiormente. 
Sono quelli più carichi d’ira e di musica. Ma finiscono. Un sollievo, perché troppa rabbia non riuscirei a sopportarla. 
Hanno il sapore di una pausa tra un ventaglio che sventola e l’altro. Una boccata d'aria fresca durante il caldo opprimente. 
Quando la tempesta suona, io rispondo. Mi attrae, non riesco a stare dietro alla finestra o sotto all'ombrello.
Resto a bocca aperta ad osservare il cielo terso lottare invano contro grandi guerrieri grigi. Un lampo. Poi il tuono. Dopo aver ascoltato i primi riesco a contare i secondi del prossimo intervallo tra loro. Lampo. 1, 2, 3… Tuono. Squarcia il cielo. Sta arrivando.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.

Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

L’odore è inconfondibile. Osservo le persone correre a cercar riparo mentre le prime gocce scendono. Le osservo. Ci ricamo e riadatto una melodia leggera. 


Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Io non sento rane, non sento cicale. Non vedo ginepri nè tamerici. Sento solo lo scalpiccio di sandali nelle pozzanghere. Voci allarmate che urlano “Da questa parte! Qui sotto!”, le auto, frenate, tergicristalli. Nessuna foglia schiaffeggiata dall’acqua
La pioggia brucia sull'asfalto prima riarso dal sole. E vince, rinfrescando i pensieri. 
La città è il mio pineto.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

Il trucco colato sulle guance, tacchi infangati e occhiali appannati. Ho voglia di salire sul terrazzo del palazzo più alto e abbracciare la tempesta. 
Poi però qualcosa mi ferma. Fulmini. 
Si, potrei restarci secca!

Apro gli occhi, mi sveglio dal sogno e corro sotto il primo cornicione, zuppa e fradicia ma ancora con quella melodia nelle orecchie.
Questa è la mia pioggia nell’urbanpineto. Questa è la mia acqua.

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