9 agosto 2015

Treviso

Mio nonno aveva le mani ruvide, solide e perennemente graffiate.
Le riconoscevo quando si infilavano nel letto per darmi una carezza nel dormiveglia, come a concedersi il lusso della tenerezza solo nel conforto della penombra.

Cantava mio nonno.
Fischiettava.
Suonava con tutto il corpo mentre si muoveva durante la giornata.

Nei pomeriggi in campagna nonna preparava un cestino con i viveri che avrei dovuto portargli: metteva sempre un chinotto fresco e tovaglioli colorati di carta. Poi mi porgeva il manico e io sparivo tra i filari della vigna, pronta a farmi guidare dal suono metallico della radio da taschino che accompagnava quotidianamente i lavori agricoli di mio nonno.
Mio nonno amava la terra e la campagna ma vangava, legava vinchi e raccoglieva fragole in camicia, cravatta e bretelle. E io avevo perennemente scarpe e pantaloni impolverati quando stavo con lui.


Cantava mio nonno, per prendermi in giro.
Diceva che ero troppo silenziosa e lo faceva con aria severa, poi distendeva le labbra e mi allungava una carezza furtiva.

Mio nonno amava la terra, i prati su cui aveva fatto pascolare le bestie da bambino e le fonti. Conosceva palmo a palmo due vallate e tutte le sorgenti tra esse comprese, che ad ogni viaggio diventavano sosta e racconto.

I viaggi erano tremendi: la guida è sempre nemica giurata di un vecchio col cappello, e questo era mio nonno. Senza contare il mal d'auto, un grande must coadiuvato dall'odore nauseabondo di anice e mou sprigionati da un numero imprecisato di pacchetti di caramelle presenti nella sua macchina.

Mio nonno detestava sentirmi fischiare e masticare la gomma americana.
E io masticavo e fischiavo e facevo palloni grandissimi nei miei quindici anni, seduta sul sedile anteriore.

Mi ha insegnato la musica, mio nonno.Ma la musica ha i suoi tempi per scendere nel cuore e fiorire, così per anni ha accettato sbuffando neppure troppo i miei Cranberries.

Parlavamo, io e mio nonno, certe volte anche in inglese.
E quando mi guardava i suoi occhi grigio azzurri diventavano così profondi che avrei potuto vedergli fin dentro lo stomaco.

La sua canzone preferita l'ho imparata anni dopo, ed era una canzone davvero bella.
Nonno, ascoltiamola adesso.