4 marzo 2013

La casa di ombrelli

Lei si chiamava Francesca. 
Abitava nel palazzo accanto al mio e insieme costruivamo case con gli ombrelli. 
Passavamo le estati al fresco del parco giochi condominiale e non so dirvi neanche come un giorno, forse presa dalla noia, lei mi disse "Prendi tutti gli ombrelli che hai a casa e portali giù. Ho un'idea". 
A quanti di voi il suono della frase "Ho un'idea", concomitante ad uno sfaccendato pomeriggio estivo, dava una leggera scarica di adrenalina? 
A me si. 


Mia madre non fece troppe domande. 
Così scesi col suo ombrello fiorato Laura Biagiotti, quello pieghevole nero e verde a quadri "finto Burberry" di papà, quelli di mia sorella di plastica rosa con Sailor Moon e il cristallo di luna stampato sopra, e l'altro giallo con Pikachu, quello mio rosso tinta unita, altri di riserva e un paio rotti. 
Solo adesso mi chiedo cos'avrá mai potuto pensare la signora Martini del piano di sotto quando, incontrandola nell'androne, mi tenne aperto il cancello per farmi passare.
Aprimmo gli ombrelli, in tutto più di una dozzina, e li incastrammo: quelli più grandi sopra, quelli più piccoli ai lati, formando una specie di igloo. Ad opera conclusa entrai a gattoni attraverso lo spazio che avevamo lasciato. Lei entrò per ultima e si chiuse "la porta" alle spalle con un ombrello a pois rotto per metà.

A parte i vari manici che se non prestavi attenzione potevano accecarti, il risultato era aldilá delle aspettative. 
Dentro all'igloo non potevamo stare in piedi, ma la mia lungimirante compagna aveva portato con sè due materassini da yoga per poterci sedere e sdraiare. Da quella posizione, col sole che batteva sulle superfici traslucide, tutto era luminosissimo e colorato. Avevo addosso l'ombra delle stelline di un ombrello blu sopra la mia testa. Sailor Moon era accanto ad un dragone cinese dorato che sputava fuoco sulla finta trama Burberry, che a sua volta avvolgeva Pikachu fino al collo. L'atmosfera era curiosa e rilassante.

Non so dire di preciso cosa facevamo là sotto. Chiacchierare suppongo. Il ricordo più lucido è inerente alle fasi costruttive. Il resto... Quasi buio.



Smontammo e rimontammo case di ombrelli per diversi giorni. 
Dentro ci facevamo merenda, partite a Risiko o Monopoli e qualche confessione in stile "Chi ti piace della tua classe?", che al riparo dell'igloo sembrava meno inibita che all'aria aperta. 



Ricordo che quando il sole cominciava a picchiare forte, dopo difficili momenti di resistenza a tamponarsi le tempie, scappavamo fuori a gambe levate per evitare una spiacevole seduta di sauna finlandese.

A casa, in privato, proposi la versione "ombrelli + foulard", poi rivisitata direttamente "foulard" perché per la mia cameretta tutti quelli ombrelli era chiedere troppo. Qualche volta chiesi anche alla mia sorellina di partecipare, ma presto mi resi conto che la mia esile costruzione non avrebbe retto una scossa tellurica di quell'entità.

Insomma, mi piaceva improvvisare case. Immaginare dove poter sistemare la zona letto o l'angolo cottura. Il bagno era un optional. Tanto a che serve?



Ricordo anche che un giorno vidi mamma entrare in camera, mettersi seduta sul letto e chiedermi preoccupata "Perchè costruisci sempre case? La tua vera casa non ti piace?".
Ahia. Momento psicanalisi.
Il fatto era che a me piaceva moltissimo il mio vero appartamento, ma cercavo qualcosa più a mia dimensione, immagine e somiglianza. Qualcosa che potevo scegliere e decidere io. Un posto in cui puoi sederti sul letto senza aver paura di disfarlo, dove puoi avere un tetto stellato sulla testa che difficilmente i miei genitori mi avrebbero permesso di realizzare nella mia cameretta, dove il bagno non era indispensabile e dove i muri erano di seta e tela. 
Lì sotto potevo. 

Che poi, detto tra noi, il gioco finiva esattamente nel momento in cui io, direttore dei lavori, dichiaravo l'opera definitivamente conclusa. A quel punto, che fossi da sola, o con la mia amica, mi ci infilavo dentro, mi guardavo attorno e dopo quei 10-15 secondi di ammirata contemplazione, nella mia mente risuonava un solo, enorme ed immenso "E mo'?".
Tutto lì.


"Home is where you make it". 



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