18 ottobre 2013

Giochi vs giocattoli

Ho sempre amato i giochi che si fanno senza necessità di giocattoli.
Non che non avessi scatole piene di bambole, accessori, macchinine ed ogni bendiddio.
Anzi, i miei erano generosi al limite della follia nel viziarmi con ogni nuova uscita.
Il fatto è che a distanza di anni, quello che resta, è il piacere semplice delle ore passate ad inventare partendo dagli oggetti comuni.
 
Allora un pomeriggio le ante della credenza diventavano quinte della mia grande, immaginaria cucina. E nell'impegnarmi a sbattere uova inesistenti nella terrina di mia madre, potevo sentire perfino l'odore della torta che non avrei mai veramente infornato.
Certo, mia madre non era troppo contenta quando abbandonavo il campo di battaglia lasciando tutte le pentole sparse sul pavimento. Ma ha sempre amato ed incoraggiato questa mia vena inventiva.

I miei erano terrorizzati che la televisione ed il mondo commerciale degli anni ottanta potessero appannare lo sviluppo della mia fantasia. Guardando (poco) la televisione oggi, non posso dargli torto.
Ma nonostante mi sia abbeverata più che abbondantemente al ruscello della mediaset degli anni d'oro, e nonostante questo abbia portato dei danni irreversibili alla mia persona, devo dire che lo sviluppo creativo ha tenuto botta egregiamente.

Crescendo ho avuto la conferma che i giochi migliori sono quelli che nascono per sbaglio.
Le storie inventate cercando di indovinare le destinazioni dei passeggeri di un autobus che ti porta dove devi andare.
La musica cercata nei rumori che inghiottiscono la quotidianità.
Le parole e gli scherzi partoriti in un lapsus, digeriti sghignazzando.
Le parole.
Le parole.
Quel palleggio che crea corrispondenze, se reciproco.
L'affinità nel leggerle e nello scriverle.
I toni e le sfumature.
L'importanza della grafia, della rappresentazione di sé attraverso le parole.
Dove ogni asola è una serratura per spiare e farsi spiare.



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