16 maggio 2012

Mimesi di una turista


“Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina:
essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo,
sono i libri, le arti, le accademie,
che mostrano, contengono e nutrono
il mondo."
William Shakespeare


Avete mai veramente saputo su cosa si posano gli occhi delle donne in VIAGGIO?

Accecata dal sole riflesso sul lucido pavimento della Rambla de Canaletes, lo sguardo stretto su una retta che sembrava all’infinito, pensai: da dove comincio a guardare?


Risalita dagli interminabili percorsi sotterranei di Parigi, posato il piede sul marciapiede di Pigalle, pensai: da dove comincio a guardare?

Nel taxi che attraversava Brooklyn prima, Union Square poi, con il dito sullo schermo touch del sedile anteriore, pensai: da dove comincio a guardare?

Uscita dalla stazione di Russel Square, nell’unico grigiore metropolitano che riesco a sopportare, pensai: da dove comincio a guardare?

Perché se è vero che gli occhi si riempiono e a stento contengono le meraviglie architettoniche, non foss’altro che per deformazione professionale, è vero anche che scandagliano il fondo dei cosiddetti ‘usi e costumi’. Costumi, nel mio caso.

Tre, il numero perfetto di giorni che impiego a compiere la mimesi. Io sono la creazione artistica, la moda è la natura. Ogni forma d'arte, secondo l’estetica classica, non è forse un'attività di mimesi?



Ho tagliato corti i capelli a destra, sull’orecchio, e lasciati lunghi a sinistra, infilato una canotta di Custo con una ragazza azzurra su un pantalone di lino beige, calzato le Havaianas gialle e inforcato dei grandi, grandissimi occhiali blu. 
Ho guardato le barcellonesi.


Ho legato i capelli da un lato, infilato una maglia lunga a righe bianche e blu su un fuseaux appena sotto il polpaccio, calzato delle ballerine bianche con il fiocco e inforcato dei Ray Ban fuxia. 
Ho guardato le parigine.

Ho lasciato i capelli ricci e spettinati sulle spalle, coperti da un Borsalino blu, infilato un top di Donna Karan (con estrema fatica) su un jeans strappato, calzato dei sandali ultra-flat alla schiava e inforcato degli occhiali a goccia bianchi e rosa. 
Ho guardato le statunitensi.

Ho messo una fascia di seta fiorata tra i capelli, infilato una canotta bianca con l’immagine di Kate Moss dentro una lunga gonna plissettata color senape, calzato degli zoccoli Ash troppo alti (non esattamente da turista) ed inforcato degli occhiali dicono vintage, ancora più grandi di quelli blu. 
Ho guardato le londinesi.

Al ritorno non mi riconosco mai, devo sempre fare un passo indietro, per farmi riconoscere. Prima o poi compirò la mimesi anche qui, dove preferisco non guardare.

O forse continuerò a visitare i monumenti.

2 commenti:

la menguez ha detto...

commento per vedere se compaio in alto a destra ^_^'

A.S. ha detto...

Sai, certe volte fa paura guardare il resto.
In che parte di mondo hai lasciato tutto il resto?
Tutto. Tutto il resto.
Il resto del mondo. Il resto di un viaggio. Il resto del niente.
Il resto di sé. I resti di sé.
Laddove niente resta. Se non i resti stessi.
Anche gli occhi restano. Stanno fermi perché non sanno dove andare.
Sì, gli occhi si appoggiano perché sono stanchi. E non perché sono curiosi.
Si appoggiano sulla tua canotta, da sfilare in casi di abbandono; per rimanere nudi, e quindi inermi, di fronte ad uno dei mille futuri possibili.
Devi imitare un ricordo. Provi ad imitare un ricordo.
Così la mimesi si compie quando l'atto diventa funzionale al niente.
Un impulso nichilista che spinge migliaia di sguardi, milioni di vestiti, una moltitudine di tagli diversi di capelli, a rendersi conto dell'inutilità dell'essere.
E tutto quello che passa, non riesce a non restare.
E da Parigi a New York, passando per un ponte sospeso sul vuoto, la riconoscibilità di ciò che si è va a perdersi tra chilometri di indifferenza.
E battiti di tempo che parlano un'altra lingua, parlando di un'altra storia.
Ancora da vivere. Ancora da scrivere.
Basta fare un passo indietro.
E calpestare l'ombra di un passato che ci sarà sempre.
Per sempre.