Lo immagino come una linea del tempo con alternanza di due
perle nere ed una bianca. Ad indicare i momenti di buio e quelli di luce. Sia
per la memoria che per le esperienze.
Ricordo a stento i luoghi.
Stranamente più i corridoi che le
aule. Più che altro perchè era nei corridoi che trascorrevo quasi la maggior
parte del mio tempo, a scontare punizioni fuori dal raggio d'azione delle insegnanti.
Dovevo solo restarmene là, ferma sulla soglia, spalle alla porta ad attendere
che mi richiamassero.
Ma subentrata la noia e dopo l'ennesimo sguardo al
giardino attraverso la finestra, prendevo a girovagare per bagni e corridoi. Il
massimo era prendere le scale ed andare ad esplorare l'inaccessibile piano della
quarta e quinta elementare: il nuovo mondo. Avevo quasi paura che qualche collega più grande mi
beccasse andando in bagno e mi ricattasse dandomi della mocciosa.
In definitiva, diciamo che non ero proprio quella che si suol dire
"una brava bambina".
Ero una stronza, polemica e dispettosa. Almeno a detta delle
maestre. Che si risparmiavano la parola "stronza", ma che io, ahimè,
sapevo benissimo di meritare.
Si andava in palestra? Alla mensa? Fuori ai
cancelli della scuola? Giù in cortile? In gita al frantoio?
La solfa era sempre la stessa:
"In fila per due, per mano."
Quello che doveva sembrare un gesto innocuo si rivelava per
tutti essere una vera scocciatura.
Il perchè era strettamente legato al "compagno di
mano" che la maestra ti appioppava.
Il terrore era che ti capitasse l'amica con la quale avevi
litigato il giorno prima e alla quale avevi definitivamente e senza colpo
ferire, dichiarato "Non sei più la mia migliore amica". Fiera. Per te Miss
Italia finisce qui. Game Over.
Oppure poteva toccarti lo scaccolatore della classe. Quello
che più di una volta avevi beccato con tutte e dieci le dita, una/due per
volta, infilate nelle narici, anche fino a due minuti prima che ti porgesse la
mano. E poi "Ciaf!". Incollati. Per sempre. Una cosa disgustosa.
O del bullo della classe, lui non portava il grembiule. Era
anticonformista convinto. E anche solo sfiorandoti con l'indice ti avrebbe
cacciato in un guaio apocalittico, per osmosi.
Nella migliore delle ipotesi poteva capitarti il più fico
della classe. Quello che mai, mai, neanche l'anticamera del cervello ti avrebbe
mai sfiorato l'idea di toccargli anche solo un lembo del grembiule. E lì dovevi
dargli la mano!
Panico.
Presto però ti rendevi conto che la personcina che
cercavi di conquistare con una calorosa stretta, non era altro che un
ragazzino che non sapeva neanche della tua esistenza, che dava un'insensibile merluzzo congelato a
quello che credeva essere un fantasma.
Mollava la presa ogni due secondi per
grattarsi il palmo (o il sedere, nel peggiore dei casi), fare il
solletico allo sfigato due file più dietro o per tirare fuori il Power Ranger
rosso dalla tasca della tuta. Frustrante.
Solo se avevi la rara possibilità di sceglierti il compagno
di mano potevi stare tranquilla.
Le maestre, ah maestre... Loro non immaginavano minimamente
che mentre tentavano di fare un po' d'ordine tra quei diavoli della Tasmania, davanti ai
loro occhi si stava consumando una tragedia. Fila dopo fila. E di quello che sarebbe dovuto essere un gesto spontaneo, prendersi per mano, per amicizia, per amore, per dirsi "Camminiamo insieme. Io guido te, tu guidi me. Puoi fidarti. Siamo uniti.", non restavano altro che palmi sudici, cuori infranti, spargimenti di sangue e note sul registro.
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